Dentro la RHC
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Incontro Riccardo un giorno in cui, nonostante sia ottobre inoltrato, fa ancora caldo. È a Milano per lavoro, ma questo non gl’impedisce di tenere i piedi sui pedali. Riccardo ha fatto tutte le RHC che si sono svolte a Milano, è uno dei pochi a poter godere di questo piccolo primato. Mi dice che quest’anno è stata durissima, che non è riuscito a passare le qualifiche nonostante il suo tempo sul giro sia sceso sensibilmente rispetto allo scorso anno (stesso tracciato). Che forse ce l’avrebbe fatta, se solo avessero mantenuto il programma di ripescaggio. Ma pazienza, va bene anche così. L’importante è esserci e divertirsi.

Partiamo dall’inizio, dalla RHC Bovisa. Mi hai detto che le hai fatte
tutte – uno dei pochissimi tra l’altro – quindi quali sono le differenze
più grandi che hai notato in questi anni?
Ogni anno sembra un pianeta differente: nel 2010, in quel venerdì sera della prima edizione pionieristica, c’era tutto il sottobosco ciclistico del nord Italia che per la prima volta venne allo scoperto. Fu come guardarsi allo specchio dopo mesi su di un isola deserta e trovarsi, più consapevoli di quanti e chi eravamo. Quella fu la scintilla di moltissime realtà oggi consolidate come ad esempio la stessa Iride Modena di cui ora si celebra la conquista del mondiale a squadre di RHC. Fu tutto incredibile, quasi come in un film, compresa la vittoria del “nostro” Jon Ander Ortuondo (“ortu” per gli amici) su di un telaio Legor, il resto è scritto negli annali. Anno dopo anno il fermento mediatico esplose letteralmente, arrivarono fotografi e videomaker di talento e il risalto fu mondiale. Di anno in anno anche il livello atletico chiaramente sale di un ordine di grandezza, ricordo nel 2011 chi ti guardava stupito, quasi con scherno, se ti portavi i rulli per scaldarti… ora nessuno ne fa più a meno.
La RHC è una gara molto tecnica, ci vuole molta “gamba”, ma non
basta. Tu come affronti la gara? Fai una preparazione specifica nei
mesi precedenti?
Abbiamo un grosso vantaggio qui in Italia e specie al Nord, siamo stati talmente entusiasti e coinvolti che (da una indagine fatta dagli organizzatori stessi della RHC) ora siamo il paese al mondo (datecelo un record ogni tanto…) dove si organizzano più criterium a scattofisso, in assoluto! Quindi tra un impegno e l’altro devo riconoscere che ho la fortuna di poter partecipare a molte crit durante l’anno che, chiaramente, si fanno più frequenti proprio nell’avvicinarsi della Red Hook che cade ormai sempre al secondo weekend di ottobre. Per come la vedo io la miglior preparazione è proprio fare questo tipo di gare per acquisire prontezza nei rilanci e sensibilità nello stare in gruppo, cosa non banale visto che, come sai, i freni non ci sono! Venendo un po’ più nello specifico quello che costruisce la gamba da criterium sono le variazioni di ritmo, quindi anche con la bici da corsa in allenamento cerco di privilegiare questo aspetto quanto ne ho modo. Poi dato che vivo ai piedi delle Alpi ammetto che ho uno sconfinato amore per la salita quindi diciamo che questo secondo aspetto di pedalare molto in salita allena anche un aspetto mentale che è quello di saper soffrire. Sia chiaro che non è un supplizio, ma il far comandare la mente è essenziale per raggiungere obiettivi spesso insperati
e questo non va mai tralasciato. E’ la testa che fa muovere le gambe.
Per quanto essenziale sia la bici da pista, sei un “maniaco” delle
regolazioni?
Più che delle regolazioni, dato che la posizione in sella è acquisita da anni
grazie all’aiuto di un buon biomeccanico, ammetto che sono molto attento ai serraggi ed alle condizioni dei componenti della bici stessa. Un dado allentato non solo ti fa perdere una gara, ma può essere pericoloso per la tua incolumità e quella degli altri, così come un tubolare mal incollato o un battistrada danneggiato. Quindi sì la sera prima ricontrollo sempre tutto, alla fine data l’essenzialità di una bici da pista si fa anche in fretta, ma ogni componente diventa l’anello di una catena: funziona tutto se ogni singolo anello è perfetto.
Mentre vedevo le qualificazioni mi veniva in mente una vecchia intervista di Ayrton Senna in cui diceva che il tempo a Monza lo facevi
tutto in un punto, prima della parabolica, se riuscivi, se avevi il coraggio di entrare in pieno avevi fatto il tempo. Per certi versi vedendo correre la RHC ho avuto la stessa sensazione. Come si diceva,
la gamba conta tantissimo, ma quanto conta il coraggio di buttarsi in curva in pieno? Quanto conta conoscere il percorso per fare il tempo?
Inizio con il dirti che se citi Senna citi un mio mito assoluto, permettimi di
fare una digressione allora. Ricordo quando fu chiesto ad Ayrton quale era
l’avversario che riteneva il più importante della sua carriera. Mentre tutti si
aspettavano un Prost, Mansell o Piquet, lui sorprese tutti citando Fullerton,
sconosciuto pilota ai tempi dei kart. Beh qui il parallelo è simile, la bici in fondo conta poco, molto poco, e nelle tante criterium che corriamo il nostro vero scopo è la competizione pura, lo sfidarsi per gustarne il bello e l’essenziale, senza strategie o aiuti dai materiali con cui corri, questo è uno degli aspetti che mi fa amare questa disciplina. Torniamo alla tua domanda, sì il modo e la velocità con cui curvi è determinante, qui le traiettorie sono tutto, il motore sei tu e meno rallenti più ti avvantaggi sugli avversari. Staccandosi un attimo dal tracciato della Bovisa ti dico che saper fare traiettorie pulite e veloci influisce tantissimo: mi è capitato di correre in una pista di kart dove compivo traiettorie diverse da quasi tutti ma che riuscivano a farmi recuperare sulle “gambe veloci” diversi metri ad ogni giro. Un discorso a parte meritano i tornantini: lì bisogna anche saper rallentare forte (scusa l’ossimoro) perché metter le tue ruote davanti in
ingresso curva è uno dei pochi modi per sorpassare avversari della tua portata, lì si gioca moltissimo e giro dopo giro saper rallentare è molto più duro e difficile che il rilanciare all’uscita della curva.
So che parlare di strategie in una gara come questa è forse ridicolo, visto che devi andare forte e poi ancora forte, ma quali sono le cose
che ti passano per la testa mentre stai inanellando un giro dopo l’altro?
Questa credo sia la domanda più difficile e più personale… Non credo ci sia
una risposta, sei focalizzato al 110% sulla gara e su chi ti corre a fianco, la
concentrazione è tale che spesso non senti nulla di ciò che è a bordo tracciato anche se, in particolare qui a Milano, sentire distintamente gli amici che gridano il tuo nome ti dà una carica impressionante, garantito!
In una delle foto che ho fatto quest’anno ci sei tu con un’espressione
che non lascia dubbi sulla carica agonistica. Visto che credo che tu
non sia venuto a Milano pensando di vincere, come si può descrivere
questa passione?
Beh innanzitutto grazie per la foto! Racconta moltissimo di quello che succede nelle retrovie del gruppo e che spesso chi viene la prima volta a vedere per curiosità si perde. Il ciclismo però è fatto di pochi vincenti e di tantissimi gregari, alla fine è anche grazie a questi ultimi che i vincenti sono glorificati. La mia condizione è proprio quella: età e fisico mi permettono un certo tipo di prestazione diciamo un 60 in una scala da 0 a 100, ecco l’agonismo e l’esser “dentro” questa passione fa sì che quel 60 diventi spesso un 70 o anche 75. Quella risorsa nascosta che ti porta a tirar fuori una prestazione al di sopra delle tue stesse possibilità, questo in un concetto solo è il correre in bicicletta.
Visto che hai fatto tutte le edizioni, quali sono i momenti che ricordi
con più piacere di queste edizioni? La delusione più grande invece?
Beh, partiamo dal fondo, la delusione più grande ad oggi è stata non poter
disputare la crit di recupero o “last chance race” come è stata battezzata. Ero focalizzato al massimo sul fare una buona gara, la sentivo molto e anche se non fossi finito nei 10 che avrebbero avuto accesso alla finale sarebbe stata comunque una gara estremamente emozionante a sè, soprattutto perché l’avrei corsa con corridori con il mio stesso livello di preparazione quindi sarebbe stata combattuta e dall’esito non scontato.
Passiamo ai bei ricordi e ce ne sono molti, l’edizione 2010 perché la prima non si scorda mai, nel 2011 con una gara tutta di rimonta insieme a quello che ora è un caro amico e grande corridore Paolo “bludado” Bravini ora nel team “cugino” dei Cinelli-Chrome, nel 2012 fui addirittura messo sul sito della redhookcrit tra i 20 pretendenti alla vittoria e lo scorso anno comunque in finale nonostante la nuova difficoltà delle qualifiche. Ma su tutti quello che dà una scossa fin nel midollo sono quegli interminabili secondi prima della partenza, dove il cuore inizia a salirti nonostante tu sia ancora fermo, ecco quella direi che rimane sempre l’emozione più vivida.
Quest’anno hai partecipato anche all’edizione di Barcellona, fai gare
di CX, alleycat, altre criterium, vai in montagna, in pista…quanto
tempo dedichi alla bicicletta? Qual è la specialità che preferisci? Anche
se forse mi dirai tutte!
Qui mi stai chiedendo se vuoi più bene alla mamma o al papà, come faccio
a risponderti?! Quello che trovo importante è il pedalare tutto l’anno che sia
alternando strada e ciclocross o semplicemente recandosi al lavoro in bici, se lo fanno a Copenaghen le signore coi loro bambini non cerchiamo scuse noi qui in Italia, ci si equipaggia e si pedala, sempre! Onestamente dedico una grossa fetta della mia vita alla bici, che è comunque come hai visto anche il mio modo preferito per spostarmi velocemente in città quindi non lo limito alla sola sfera sportiva, pedalare è proprio un modo di essere, forse è per quello che ci sono coì tanti appassionati, basta provare, perseverare e poi non se ne esce più!
Sei sempre stato un amante della bicicletta? Quando ti sei imbattuto
nella tua prima bici?
Ho ancora in garage la mia prima mtb del 1988 anche se ora ha su il seggiolino e ci porto a passeggio i miei figli… Ho avuto una consistente parentesi con le motociclette, devo dire che non lo rimpiango come periodo e se ho un po’ di tecnica nella guida delle bici lo devo molto a quando ero centauro, ma diciamo che ormai sono una decina di anni che sono “monogamo” e le uniche due ruote che uso sono quelle che hanno me come motore.
Ora la solita domanda stupida: anche per te vale la regola che il numero
perfetto delle biciclette sia n+1?
Beh, non proprio dai. Sono però convinto che ci vada una bici specifica per
ogni disciplina e che non ci sia una specialità più bella di altre sia essa la pista, il cross, la strada o la città. Il bello è poi mischiare le carte e fare qualche follia come scalare l’Izoard con una bici da pista o affrontare una marathon di mtb in singlespeed. Attualmente le bici in garage sono sette e devo dire che è un numero che mi soddisfa in pieno, ci tengo però a sottolineare che su sette ben sei sono in acciaio, un materiale a mio avviso ancora attualissimo e che dà molto a chi ha la voglia di pedalare!

Poco prima del caffè ci raggiunge anche Marco, con il suo caschetto e la
maglia di una squadra di Gaggiano. È in giro a fare consegne per Milano.
Mi dice che in un anno arriva a percorrere più di 1000 km, soltanto per le
vie della città. In giornate di sole autunnale come queste, un po’ di benevola
invidia scatta. Poco prima dei saluti, ripenso a una cosa che mi ha detto
Riccardo. Gli mancherebbe di fare la RHC di Brooklyn, forse se la regala per
i suoi 40 anni. Faccio due conti e vedo che dovrebbero corrispondere ai miei
45: l’idea mi sfiora appena, se non altro perché metterei seriamente a rischio la pelle, direi al primo tornante, nel quale, senza freni, andrei lungo, dritto dritto all’ospedale.
Grazie Riccardo per la chiacchierata.

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